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il 3 Ott 2015

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Luca ‘toro 240’ Tiramani: “Londra mi ha aperto gli occhi, non credo farò il PPP ancora a lungo…”

Luca ‘toro 240’ Tiramani: “Londra mi ha aperto gli occhi, non credo farò il PPP ancora a lungo…”

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Era un torrido giorno di agosto quando intervistai il grinder Luca ‘toro 240’ Tiramani, allora in procinto di partire per Londra con la compagna Chiara Sesenna, un po’ per migliorare l’inglese un po’ per mettersi alla prova sui complessi siti internazionali.

Tornato nella sua Piacenza, ho approfittato del pomeriggio odierno per fare due chiacchiere, mentre grindava, sull’esperienza vissuta.

Innanzitutto gli ho chiesto tre aggettivi che possano descrivere l’esperienza londinese e la sua risposta è stata “illuminante, stressante ed elettrizzante”.

Non ha esitato, poi, a spiegarne i motivi.

“Illuminante – ha esordito Luca convinto – perché finalmente ho aperto gli occhi, la mente e l’anima a qualcosa di diverso. Ho realizzato che il poker non sarà qualcosa che farò ancora per molto nella mia vita. A me non piace stare davanti al computer per tante ore, massare infinito etc. etc. Ho capito che la mia mente invece che evolvere sta regredendo, o comunque non sta progredendo. Ci sono tante cose in questo mondo che vale la pena di fare e scoprire, e il mio purtroppo è un lavoro che non consente al cervello di apprendere cose nuove. Ecco un esempio: vado da solo una giornata alla Tate Modern, esco dopo cinque ore di guida, di arte probabilmente non ne saprò nulla uguale, ma ho sentito che la mia mente si è aperta a sfumature diverse, sfumature mai assimilate o scordate. A scapito del mio buono introito da professional poker player, dunque, voglio investire il mio tempo e la mia testa in qualcosa di diverso, che mi dia nuovi stimoli, mi apra a nuovi mondi, mi renda curioso e mi porti a conoscere nuove persone…”.

Lo ‘stressante’, invece, era riferito al poker ‘dot com’, forse non il massimo per uno specialista dell’heads up cash game.

“Sto avendo un brutto swing e andare a grindare sul punto com non mi ha aiutato. Gli heads up non partono mai perché le slot non si refreshano, non parliamo del cash game dove ci sono infiniti regular in attesa. Mi sono dedicato quindi agli mtt, ma non sono il top in questa disciplina, in più esistono dinamiche totalmente differenti rispetto alle nostre. Le strutture, poi, sono molto più turbo di quelle del punto it. Ho vinto però un 22$ deep stack, che mi ha ‘sciolto’, e un 44$ turbo qualche giorno dopo, con cui ho incassato 1.700$. Niente di trascendentale, ma risultati che mi hanno permesso di chiudere in attivo, grazie anche al profit ottenuto allo Zoom e nei 9-max”.

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Tiramani si sofferma sulle differenze nette tra tornei ‘nostrani’ e tornei ‘internazionali’. Insomma, pare non essere lo stesso giochino.

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“Cambiano i range di shove e di call, sono molto più larghi sul punto com. La donkbet è usata di frequente e mediamente i tornei da 109$ in su sono affollati di regular forti che fanno pochi errori. Ovviamente i payout sono decisamente migliori, però la varianza è più alta a causa dei field enormi”.

Un altro problema è il costo della vita, che è impegnativo a quelle latitudini. Per Luca, dunque, la capitale inglese non sarebbe la meta ideale per un professionista di poker anche per questo.

“Sarebbe la destinazione ottimale se i prezzi fossero più bassi. Questo conta molto perché diminuisce parecchio il potere d’acquisto. Per tutto il resto va benissimo, puoi organizzarti sessioni/tempo libero in maniera ottimale. Resta il fatto che non la consiglierei, io opterei per Malta…”.

Se in futuro Tiramani girerà per la città da vero ‘londoner’, probabilmente allora avrà appeso il mouse al chiodo.

“Ho certamente abbandonato l’idea di trasferirmi in Gran Bretagna per continuare la mia carriera da pokerista, ma potrei andarci a vivere in altre vesti, perché no!”.

Pure l’inglese di ‘toro 240’, per fortuna, ha fatto grandi passi in avanti e chiudiamo l’intervista con un classico momento nostalgia.

“Il mio inglese è ‘improvato’ (passateci il termine, please) del 500%. Dire che mi è servito venire qua è riduttivo. Quello che mi manca di Londra ora è il non poter parlare inglese, non conoscere gente nuova e non sentirmi vivo come mi faceva sentire quella città…”.

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