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il 4 Lug 2013

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Cosa pensano negli States dei pokeristi italiani?

Cosa pensano negli States dei pokeristi italiani?

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Con l’avvicinarsi del main event, il numero dei giocatori italiani a Las Vegas è cresciuto in modo esponenziale, come abbiamo visto nei tornei degli ultimi giorni che hanno registrato una nutrita rappresentanza tricolore.

Tanti connazionali sognano di portare a casa il braccialetto, finora solamente pochi ci sono riusciti.

Ma come è visto il poker italiano dai pro americani? Ci rispettano, ci temono o – più semplicemente – non ci ‘cacano di striscio’?

Per rispondere alla domanda non c’è persona più indicata di Marco Valerio (sopra con Phil Laak), ventiseienne originario di Roma che qui negli States è diventata una icona del poker parlato in qualità di giornalista e commentatore del sito-radio QuadJacks.

Vivo a Las Vegas da quando ho dieci anni, la mia famiglia si trasferì perchè mio padre girava il mondo per lavoro e assieme a mia madre decise che crescere i figli in U.S.A. sarebbe stato meglio che in Italia – così si presenta Valerio – Ho conosciuto l’holdem quattro anni fa, un amico con cui giocavamo spesso mi chiese se mi interessava entrare in questo sito che era in fase di start-up e che stava cercando qualcuno che facesse interviste ai giocatori. Da allora posso dire di aver parlato con tutti e di essere a stretto contatto con la maggior parte di loro”.

IPC: Che giocatori italiani conosci?

MV: A dirla tutta non li seguo molto. Conosco solamente gli italiani che vengono spesso a Vegas, come Silvio Crisari, e Rocco Palumbo e Dario Minieri perchè hanno vinto il braccialetto. Sono amico degli emigrati a Vegas come Fabio Coppola e Flaminio Malaguti. 

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IPC: Come sono visti i giocatori italiani dai pro statunitensi?

MV: Sugli italiani non ho mai sentito delle generalizzazioni, come invece succede coi russi e con gli scandinavi. Non se ne parla bene ma neanche male, nel senso che, a differenza dei popoli che ti ho appena detto, gli italiani non hanno uno stile riconoscibile o che devia dallo standard in modo sostanziale. A mio avviso, ma questo è un parere personale, il grande ostacolo che impedisce alla scena pokeristica italiana di essere conosciuta e rispettata nel mondo è la lingua.

IPC: Credi che il fatto che parliamo poco inglese sia un ostacolo?

MV: Esattamente. Io parlo soprattutto con giocatori anglofoni che sono molto più facilitati a parlare e confrontarsi con giocatori che parlano la stessa lingua. Non è un caso che i poker player più forti al mondo siano americani, canadesi, inglesi o di nazioni in cui si parla un inglese fluente, come gli scandinavi e i tedeschi. Gli italiani, così come tutti i popoli dell’Europa mediterranea, non sono molto abituati a parlare inglese, e dunque hanno una posizione piuttosto marginale nella comunità pokeristica internazionale. Più capisci l’inglese più ti puoi confrontare con gli altri giocatori e avere accesso al patrimonio di conoscenze comuni. E penso che anche altre nostre caratteristiche siano di ostacolo.

IPC: Quali caratteristiche?

MV: Noi siamo un popolo divertente, ciarliero e umorale. Non siamo come gli svedesi o i tedeschi, freddi e calcolatori, che possono stare seduti delle ore davanti a uno schermo a guardare i video di strategia. Più che ad ascoltare siamo a bravi a parlare, come ti ho dimostrato anche io in questa lunga chiacchierata!

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