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il 21 Set 2016

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Qual è il confine del professionismo?

Qual è il confine del professionismo?

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Probabilmente, a sentirli parlare da fuori, i giocatori di poker possono sembrare una massa informe di persone con il vizietto del gioco.

Chi non ha mai approcciato il mondo delle due carte, se non per vie trasversali o per una sporadica partita al termine della classica abbuffata natalizia, guarda ai professionisti del poker come a delle entità misteriose, senza realmente capire cosa facciano nella vita se non rischiare di perdere la moglie e la casa, come qualcuno ha raccontato loro tanto tempo fa.

E infatti è accaduto proprio così al noto professionista canadese Jason Mercierospite della trasmissione radiofonica ‘Dan le batard’ andata in onda su ESPN lo scorso mese. Dopo aver raccontato la sua ultima esperienza alle WSOP, incluse le pesanti side bet che gli hanno fruttatto diverse centinaia di migliaia di dollari, il co-conduttore Jon Weiner gli chiede senza troppi peli sulla lingua: “Jason, ma tu hai un problema col gioco d’azzardo?

Una domanda che, ai tanti ascoltatori distanti anni luce dal mondo del poker, potrebbe sembrare alquanto legittima viste le cifre in ballo, liquidata con un secco: “No, non penso almeno. Gioco a poker per fare soldi e e scommetto per lo stesso motivo. E’ il mio lavoro.

Tralasciando le curiosità emerse sul suo passato, come quella volta in cui riuscì a perdere oltre un milione di dollari in una singola sessione di cash game in Australia, cerchiamo di capire quale sia effettivamente la discriminante tra un giocatore compulsivo e un professionista, o presunto tale.

In un recente articolo comparso sul portale internazionale Pokernews.com, il collega Marty Derbyshire ha approfondito l’argomento ponendo il quesito in prima persona a Keith Whyte, il direttore esecutivo del Consiglio Nazionale Americano sul gioco d’azzardo:

E’ una domanda affascinante – risponde Whyte – dal momento che secondo i test psicologici standard la maggior parte dei professionisti avrebbe tutte le carte in regola per figurare come persone con delle problematiche inerenti al gioco d’azzardo patologico. E’ davvero molto difficile tracciare una linea ben precisa, non a caso dopo aver fatto svolgere il test a diversi pluri-decorati campioni nel mondo del poker (vincitori di braccialetti WSOP e quant’altro, di cui non farò i nomi per questioni di privacy) sono risultati tutti dei soggetti afflitti da una incontrollabile ludopatia. Perciò, in base alla mia esperienza, posso dire che l’unico modo per separare il professionismo da una dipendenza risiede nel controllo.

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Whyte ammette che le diagnosi in merito ai problemi relativi al gioco d’azzardo non possano essere prese alla stregua di una scienza esatta, ma in linea generale si può dire che soltanto chi è in grado di fissarsi dei limiti e rispettarli, seguendo scrupolosamente le regole del bankroll management, può definirsi a tutti gli effetti un professionista e non un’gambler’ impazzito.

Come sostiene il professionista Cris Moorman, uno dei player più vincenti di sempre online: “usare il termine ‘dipendenza’ è inappropriato quando si parla di un professionista, dato che si tratta comunque di un lavoro. C’è da dire però che per me, soprattutto all’inizio, il poker è diventato un’ossessione, sono stato catturato sin dal primo momento e ho continuato a giocare.

Proseguendo con le parole di Whyte: “un professionista deve saper affrontare il ‘dolore’ nel veder andare in fumo migliaia di dollari, rimanendo comunque impassibile sia ai downswing che agli upswing. Questa capacità ovviamente è propria anche di chi ha un problema col gioco d’azzardo, ma solo l’etica del lavoro può trasformare tale sentimento in qualcosa di positivo. Insomma, è davvero difficile distinguere tra un’ossessione ‘salutare’ e una ‘dannosa’, perché in fondo quella stessa ossessione è la molla che permette alle persone di avere successo in qualsiasi campo lavorativo.

Il caso dei professional poker player inoltre, assume diverse sfaccettature quando questi cominciano a spostare il loro raggio d’azione sul betting e viceversa: “Ci sono alcuni giocatori – prosegue Whyte – che riescono ad essere estremamente rigorosi nella gestione del loro bankroll destinato al poker, ma che quando si tratta di scommettere perdono completamente il lume della ragione e non si pongono alcun tipo di limite. Allo stesso modo ho avuto esperienza di scommettitori professionisti che quando si siedono al tavolo da poker si fanno prendere eccessivamente la mano.

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