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il 7 Set 2019

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Alle WSOP in zona bolla, sorridono gli short stack: il gioco aggressivo non paga

Alle WSOP in zona bolla, sorridono gli short stack: il gioco aggressivo non paga

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Meglio short stack o belli deep in fase bolla alle WSOP? A quanto pare, avere uno stack ridotto aiuta di più in questi casi. Lo dicono le statistiche tracciate da Steve Selbrede. Quest’ultimo è noto giocatore professionista americano di cash game e da diversi anni autore di interessanti libri sul gioco del poker. Non solo, ma Steve collabora anche con il colleghi di Pokernews e nel suo ultimo articolo ha messo in rilievo un dato che fa riflettere.

I deepstack tendono ad essere fin troppo aggressivi nella zona bolla degli eventi alle WSOP e questo spesso gli espone a dei rischi anche eccessivi. Rischi che si tramutano molte volte in eliminazioni inaspettate. Tutto a vantaggio degli short stack che hanno la bravura di rimanere ben saldi alla loro sedia, senza perdere la testa nella fase più complessa del torneo.

Ovviamente, come ribadisce lo stesso Steve Selbrede, si tratta di meri dati statistici e ogni evento poi fa storia a se. Sotto la sua lente di ingrandimento però, ecco che finisce un evento da 1.000$ di buyin in modalità No Limit Hold’em. Fra i vari tornei analizzati dall’autore, questo mette bene in evidenza il focus del discorso.

Il torneo ha attirato nei due flight di qualificazione ben 5.700 giocatori e lo stack di partenza era di 10.000 pezzi. In 1.280 hanno raggiunto la seconda giornata, con 856 posizionii “In the Money” ad attendere i giocatori. Ciò significa che in 424 hanno preso parte al day 2 senza ottenere alcuna ricompensa.

Secondo i calcoli di Steve Selbrede, la bolla sarebbe dovuta scoppiare all’incirca due ore mezzo dopo lo start della seconda giornata. Dunque, sempre secondo l’autore, uno stack medio di 20 big blinds sarebbe stato sufficiente per andare “In the Money“. Analizzando però gli stack del day 2 e confrontandoli con l’eliminazioni, il player e scrittore americano scopre un dato inaspettato e che cambia il dato preventivato.

Infatti fra tutti gli eliminati del day 2, il 64% aveva alla ripresa dei giochi uno stack compreso fra 20 e 25 big blinds. Addirittura 92 player out (il 25%), avevano iniziato la seconda giornata con almeno 40 big blind. Insomma, ti aspetti gli short stack (da 15 big blinds a scendere) nell’angolo dei bustati e invece troviamo soprattutto quei giocatori che ripartivano con stack medio-alti.

Per Steve Selbrede l’analisi di tutto questo si racchiude in un commento secco: “La maggior parte degli eliminati ha gettato al vento una grande occasione, ma soprattutto ha espulso denaro garantito con quegli stack. Forse volevano vincere il torneo già al day 2, o forse molto più facilmente, non erano consapevoli ad inizio day 2 del capitale che avevano fra le mani”. 

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Molti giocatori con stack profondi tendono a prendersi più rischi del solito. Credono di mettere semplicemente paura ai rivali con le loro chips e questa condotta spesso si tramuta come un’arma a doppio taglio. I dati ci dicono che più fiches hanno i players e più sono paradossalmente a rischio eliminazione nel corso della giornata, soprattutto a ridosso della fase bolla”. 

E proprio la fase che precede l’ingresso in zona premi è quella che crea maggiori problemi secondo l’americano. “Da una parte ci sono short stack che tendono per quanto possibile a preservare il loro stack, senza prendersi inutili rischi. Dall’altra c’è la tendenza smisurata dei deep stack a bullare la bolla, anche quando la situazione richiede ben altro approccio. Nessuno però tiene conto dell’aspetto causale che poi crearsi in ogni singolo torneo”. 

Aspetto che Steve Selbrede trasforma nuovamente in dati. “Ho preso come campione un giocatore che ha iniziato il day 2 con 20 big blinds e un altro che aveva chiuso il day 1 con la bellezza di 100 grandi bui. Ebbene, il primo giocatore  ha superato la fase bolla, per poi avviarsi alle casse come 490° classificato per 2.038 dollari. L’altro invece ha chiuso 333° posto per 2.819$. In pratica, quello che inizialmente era uno stack 5 volte più grande, si tramuta in una differenza monetaria di 781 dollari”. 

Insomma, l’aspetto che può cambiare in positivo la cavalcata di un giocatore è rappresentato dalla pazienza. Più ne avremo e più volte non solo avanzeremo a premio, ma potremo anche puntare ad un risultato di spessore. Ma Steve si spinge oltre nelle sue conclusioni, all’esperimento che ha voluto testare:

Non sempre lo short stack riuscirà a centrare la zona premi. Ci sono momenti e dinamiche in un torneo che ti spingono gioco forza a prendersi dei rischi. Dall’altra parte il deep stack dovrà far valere il suo peso al tavolo, ma senza però rischiare oltre modo. L’obiettivo che unisce questi poli, è quello di approdare a premio e di avanzare il più possibile nel torneo stesso”. 

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