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il 8 Apr 2022

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La mano che ha cambiato la vita di Daniel Negreanu

La mano che ha cambiato la vita di Daniel Negreanu

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Oggi Daniel Negreanu è uno dei giocatori di poker più conosciuti al Mondo.

Se lo è diventato, lo deve a una mano giocata più di venti anni fa, che il canadese ha raccontato i giorni scorsi al portale Card Player.

Correva l’anno 1999 e il poker non aveva la copertura di oggi. Al di fuori di una rivista e delle possibilità di andare sulla ESPN, i giocatori avevano solo i forum – che erano nati da poco – per diffondere il verbo della loro abilità al tavolo da poker.

Ad Atlantic City era in programma lo US Poker Championship da 7.600$ di buy-in, il torneo più costoso dell’epoca assieme al Main Event WSOP. Lì Daniel imboccò la ‘sliding door’ che diede la svolta alla sua carriera

 

Quel look un po’ così

Negreanu inizia a dettagliare la situazione. “Avevo 25 anni, giravo nel circuito pokeristico e vedevo John Bonetti come una grande stella. Mi iniziò a piacere. Aveva un po’ l’aria da mafioso ma era un giocherellone, stava sempre a scherzare”.

In quel torneo Negreanu finì per la prima volta in televisione. Davanti alle telecamere si presentò con il suo classico look di quegli anni: tuta da ginnastica di Andrè Agassi, orecchino e cappellino Nike.

“Al tempo indossavo sempre una tuta da ginnastica per i tornei e portavo con me un piccolo pacco in cui tenevo i soldi e tutte le mie cose. Avevo le chiavi, il portafogli – ancora i telefoni cellulari dovevano arrivare. Mi sono trovato subito a mio agio davanti alle telecamere. Quando ero piccolo volevo diventare un attore. Non ero nervoso, ma comunque era una sensazione strana”.

Grazie al braccialetto vinto nel 1998, Negreanu si era già fatto notare nell’ambiente. Quel tavolo finale andò bene. Negreanu eliminò Jason Viriyayuthakorn in terza posizione e si presentò al testa a testa contro Bonetti.

 

Grandi rischi per grandi risultati

Ma proprio sul più bello, Daniel iniziò ad avvertire una sorta di ‘timore reverenziale’ nei confronti del più navigato avversario.

“Arrivato all’heads-up mi iniziai a sentire sfavorito contro di lui. Sentivo come se stesse giocando meglio di me. A volte non riesci a trovare le parole: quel tipo stava vincendo tutti i pot e si tirava fuori da tutte le brutte situazioni. A forza di venire outplayato capii che dovevo cambiare strategia: se volevo vincere dovevo prendere dei rischi”.

E così arrivò la mano che secondo il canadese ha rivoltato la sua vita come un calzino.

Daniel rilanciò preflop con Q9 e ricevette il call di Bonetti da grande buio con At.

Flop T53, Negreanu andò in cbet, Bonetti pushò.

“Ho parlato del fatto di prendere grandi rischi: questa era una opportunità. Non importava cosa lui avesse, potevo vincere. Ho chiamato, fondamentalmente eravamo pari in chips, al più aveva 3 o 4 bui più di me”

Il turn A fece precipitare le chances di Negreanu di vincere la mano, da un 50% al 20%. “Il turn mi rese un po’ ansioso, diciamo…”

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Sul river 8 fu l’apoteosi: “Lo eliminai nella mano immediatamente successiva – dice Negreanu – ancora ho l’assegno sul muro di casa mia! Dopo che ebbi ritirato i soldi volai a un tavolo 800$/1600$. Vinsi qualche altro soldo e poi ripresi la via di casa. Stavo portando con me l’assegno in mezzo alla pila di vestiti sporchi che avevo in borsa. Tornai a Vegas annunciando al mondo cosa avevo vinto in senso letterale”

 

Un Daniel diverso

Quella mano non cambiò solamente la vita di Negreanu. Cambiò Negreanu stesso. La sua vita di prima ormai apparteneva al passato.

“Quella vittoria mi mise al centro del mondo del poker. 210.000$ erano davvero un sacco di soldi all’epoca. Mi ritrovai al centro della scena mainstream. Iniziai a scrivere per Cardplayer e diventai una voce importante del gioco. Non mi importava dei soldi così tanto all’epoca, come ora, come sempre. Mi piaceva vincere. Ho sempre avuto un approccio tipo “ok se qualcuno vince va bene, io vincerò più di lui”.

Non che poi Daniel non abbia avuto momenti difficili, ma è sempre riuscito a metterseli alle spalle:

“L’anno in cui Mortensen vinse il Main Event WSOP arrivai 11° e a 12 left ero chipleader. Poi persi una mano chiave. Se l’avessi vinta chi sa cosa sarebbe potuto succedere? Ma alla fine tutto si è sviluppato abbastanza bene… Essere andato broke o aver avuto delle sconfitte traumatiche mi ha aiutato a migliorare. Solo negli ultimi due anni – da un punto di vista di fortuna negli all-in – ho affrontato il peggior periodo della mia carriera. E’ stato davvero difficile. Mia moglie Amanda dice che sono resiliente”.

 

L’amore per le classifiche

Daniel spiega che ancora oggi quello che lo spinge al tavolo verde è l’amore per le leaderboard. Per questo preferisce i tornei al cash game.

“Le partite cash game sono un lavoro. Combatti, vinci soldi, ma non c’è una classifica. Già quando ero bambino creavo i miei tornei. Facevo classifiche con i lottatori wrestling. Creavo un tabellone con sedici di loro, tiravo i dadi e prendevo nota dei risultati. Il wrestler che vinceva il torneo otteneva 50 punti, il secondo 40 e così via. Mamma mi chiedeva sempre cosa fossero tutti quei fogli in giro per casa”.

E’ proprio in funzione della presenza o meno di leaderboard che Daniel decide oggi gli appuntamenti in cui schierarsi.

“Ho giocato lo US Poker Open solo perché c’era un premio per il giocatore della serie. Quello che fa PokerGo è davvero divertente, ed è anche questa la ragione per cui le WSOP, per me, sono l’appuntamento più divertente di tutti”.

Grazie a quella mano Negreanu riconosce di essere cambiato radicalmente negli ultimi 20 anni, non solo per come si comporta ma proprio nella percezione che ha di sè stesso.

“Quando hai venti anni tieni molto in considerazione il giudizio degli altri. Non ci sono dubbi, ti importa. Quando hai trenta anni ti importa ma un po’ meno, ti rendi conto che non puoi piacere a tutti. Adesso che ho 40 anni non me ne frega niente. Ho la moglie che ho sempre voluto. Ho la vita che ho sempre voluto. Sono la versione più autentica di me stesso. Ho sempre avuto una visione cinematografica di come stanno le cose e di come venderle, ma quando invecchi ti rendi conto che quello che vende è l’autenticità”.

 

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