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il 23 Lug 2014

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Vegas Memories: il Rio, i locali, le luci, ma soprattutto quei ragazzi matti come me…

Vegas Memories: il Rio, i locali, le luci, ma soprattutto quei ragazzi matti come me…

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Brusco. Aggettivo usato e abusato quando si parla di “ritorno alla normalità”. Ma in questo caso non può davvero essere altrimenti, visto che il come back arriva dopo un viaggio nella città dei sogni.

Era la mia prima volta a Las Vegas – chissà se ce ne saranno delle altre – e a due settimane dal rientro in patria, le luci, i suoni e colori di Basin City riecheggiano ancora nella mia mente.

Tantissimi amici mi hanno chiesto di raccontare loro questa esperienza e la sintetica risposta che ho dato ai più è stata diretta e naturale, semplice e banale: “Ragazzi, in fondo è come ve la immaginate. E’ un mondo a parte, una sorta di parco giochi gigante. Quello che avete letto, visto e ascoltato su Vegas è tutto vero. Anzi, è molto di più. Ma raccontare a parole non può rendere minimamente il concetto…”

Retorica anche questa. Ma pura e semplice realtà: i vari aneddoti, al pari delle foto e dei video, non possono riportare l’atmosfera, il profumo che si respira all’interno dei casinò e degli straordinari locali notturni che la capitale mondiale del gioco d’azzardo ospita.

Nella mia testa, una delle poche consolazioni nel lasciare la frenesia vegasiana, sarebbe stata quella di godermi un po’ di mare e relax, invece, a quanto pare, i 37 gradi di media giornaliera del Nevada in questa estate italiana sono decisamente utopia. Di certo non mi mancheranno le bordate di aria condizionata all’interno del Rio: lì la temperatura ricorda molto quella di questo freddo luglio, ma vi assicuro che lavorare per dodici ore all’interno del casinò e dover uscire ciclicamente ogni mezz’ora per prendere una ventata d’aria calda, anche in piena notte, è sicuramente uno degli aspetti più bizzarri che rimembro di questa magica trasferta.

Per il resto che aggiungere: il contatto con i giocatori, dentro e soprattutto fuori dal Pavilion Center, è sicuramente quel che oggi mi manca maggiormente. A conti fatti, quel che ti resta dentro, dopo un qualunque viaggio, sono sì i luoghi, ma innanzitutto le persone.

Quando rifarò serata con Cesarino? Quando verrò invitato nuovamente a festeggiare con quel “bel ragazzo”, campione del mondo, di Zizi? Chissà quando riuscirò a infiltrarmi nuovamente tra Giuliano Bendinelli e una delle sue conquiste in discoteca…

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Momento, momento, momento, forse ci stiamo un po’ allargando: What happens here, stays here dice il detto – che tra l’altro campeggia in uno striscione nel cuore dell’aeroporto McCarran. Com’è naturale, dunque, porterò dentro tante cose, e per quanto si sia trattata di una trasferta lavorativa, ricorderò Las Vegas come una indimenticabile esperienza di vita.

Quel che mi sento di dire con certezza è che venti giorni nella città del peccato bastano e avanzano. Anche fosse stata una semplice vacanza. Spese a parte, se la si vuole vivere a pieno, Vegas ti può soddisfare e di colpo schiantare in pochi giorni. E a ben pensarci, per quanto brusco, il ritorno alla normalità, anche per il fegato, non è poi così malvagio.

 

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