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il 18 Feb 2021

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In memoria di Larry Flynt: la mano che poteva stroncare la carriera di Phil Ivey

In memoria di Larry Flynt: la mano che poteva stroncare la carriera di Phil Ivey

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I giorni scorsi, all’età di 78 anni, è venuto a mancare Larry Flynt, imprenditore statunitense dell’industria del porno, dal 1974 editore del leggendario periodico a luci rosse Hustler nonchè grande appassionato di poker (ovviamente, visto che ne scriviamo su queste pagine).

Per il miliardario entrato nell’immaginario collettivo anche grazie anche alla “trilogia Americana” di James Ellroy, in cui era caricaturizzata la sua fobia per l’igiene, è stato fatale un infarto.

Stante la sua passione per i giochi da casinò e per il Seven Card Stud, nel 2000 il magnate aprì un casinò a Gardena, California, lo ‘Hustler’s Casino’.

Proprio a un tavolo di Seven Card Stud contro Larry Flynt la carriera di Phil Ivey si trovò davanti a un bivio: se quel giorno le cose avessero preso una piega diversa, molto probabilmente oggi il soprannome “Il re del poker” sarebbe di un altro giocatore, se non proprio vacante.

 

Big money

Nella casa da gioco di Flynt la posta era spinta all’estremo. I limiti massimi giocati in California all’inizio del nuovo millennio erano 100$-200$. Ai ‘suoi’ tavoli il miliardario organizzava sessioni da migliaia di dollari a buio (fino a 8.000$, pare).

Ma non tutti erano a proprio agio a giocare certe cifre in pubblico. Il bello arrivava nella villa di Los Angeles di Flynt in cui ballavano cifre da far tremare i polsi.

Ed è qui che arrivò Phil Ivey dopo aver costruito un bankroll di circa 170 mila dollari sull’altra costa degli Stati Uniti, nei casinò di Atlantic City.

 

Da broke a cavallino

L’esordio di Ivey nella partita di Seven Card Stud contro Larry Flint non fu però dei migliori: “Nel giro di poche ore andai broke, completamente broke”.

Qui entrò in gioco Barry Greenstein. Il ‘Robin Hood del poker’ credeva nel talento del ragazzo ed era costantemente in cerca di ‘cavallini’ da piazzare nelle partite high-stakes che gli erano precluse.

Ivey tornò nella villa di Flynt con il bankroll messo a disposizione dal professionista. A un certo punto però le cose presero di nuovo una brutta piega.

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“Mi doveva 500 mila dollari ma ero tranquillo perchè sapevo che aveva talento e che poteva vincere – ha detto Greenstein – a un certo punto però giocando a limiti stratosferici per quei tempi rimase con 150 mila dollari. Lo avvisai che se avesse perso anche quelli non ce ne sarebbero stati più”

 

L’ascesa

La carriera di Ivey si trovò davvero a un passo dall’essere stroncata sul nascere.

Persi quasi tutto di nuovo e mi ritrovai con appena quattro o cinquemila dollari – ha raccontato il dieci volte braccialettato – A quel punto mi dissi di non mollare e con grande pazienza ribaltai la situazione chiudendo in profitto”.

Da quel momento in poi Ivey decollò letteralmente:

“Il giorno dopo tornai e vinsi 150.000 dollari, stessa cosa il giorno seguente e i successivi. È stata la svolta della mia vita perchè mi assicurai un vero bankroll per poter giocare. Da quel momento non mi sono mai più guardato indietro“.

 

La mano decisiva

E’ stato Greenstein e non Ivey a raccontare la mano che cambiò quelle sessioni del giocatore di Riverside contro Larry Flynt.

Il magnate chiama l’ultima mano di giornata e si ritrova in heads-up contro Ivey, che ha un punto debole ma segue fino all’ultima carta.

Al river Flynt mette ottomila bigliettoni in mezzo al tavolo, per Ivey è una sliding door. Dopo una bella tankata Phil azzecca il call cogliendo l’avversario in bluff.

Grazie a questa mano può continuare a giocare le partite private di Los Angeles. Qualche anno dopo diventerà “Il Re”.

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