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il 17 Ott 2020

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Come sono diventato il Re del poker: il racconto di Phil Ivey

Come sono diventato il Re del poker: il racconto di Phil Ivey

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Qual è il percorso che porta a essere “il re del poker” e come ha fatto Phil Ivey a diventarlo?

In una chiacchierata con Barry Greenstein, il giocatore di Riverside ha parlato per la prima volta dei fattori che hanno contribuito ai suoi successi con le carte in mano.

Un incredibile mix in cui la attitudine si è sposata alla dedizione e probabilmente anche a fattori genetici: lasciamo subito spazio al racconto di Phil.

 

1) Imparare cose nuove

Grrenstein inizia la chiacchierata parlando della continua voglia di imparare:

“Penso che una cosa che individua le persone intelligenti sia l’interesse nell’imparare cose nuove ed è qualcosa che tu hai sempre avuto – dice Barry rivolto a Phil.

“Imparare cose nuove è sempre stato un aspetto importante della mia vita. Il problema è che una volta che entro dentro una cosa, ci entro dentro davvero – spiega Ivey – se inizio a giocare a un videogame devo mettere qualche sveglia, sennò gioco per tutto il giorno. Adesso ho bisogno di essere equilibrato, cerco di vivere una vita equilibrata, serve disciplina. Per esempio se decido di giocare a golf prendo day off”

“Per un anno intero ti sei alzato alle sei e mezzo ogni mattina per giocare a golf – lo incalza Greenstein.

“E’ perchè nel primo anno in cui ho giocato a golf ho perso un milione e mezzo!”

 

2) Una attenzione maniacale

“Il primo periodo in cui giocavo a poker è stato davvero intenso. Volevo vincere così tanto che prestavo attenzione a ogni singolo dettaglio di tutto quello che succedeva al tavolo. Ero così focalizzato a stare attento che neanche mi rendevo conto di quanto lo fossi. Non è facile trovare tante persone con questa caratteristica”.

Ivey spiega di essersi reso conto della anormalità di questi suoi sforzi solamente più tardi:

“Solamente qualche anno dopo, quando il livello di focus verso questi aspetti si è abbassato, ho capito quando fossi focalizzato nei primi anni di poker. Credo che gli sforzi siano serviti. Oggi credo di essere capace di capire l’energia delle persone e il loro linguaggio del corpo a livello intuitivo”

 

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3) Fattori genetici

Greenstein infila poi nel discorso la famiglia di Ivey. Dal padre, ex pugile nonchè primo ufficiale di polizia di colore nella zona in cui viveva la famiglia da piccolo, Phil ha ereditato l’agonismo: “Diceva sempre ‘non pisciarmi in faccia per poi dirmi che sta piovendo'”.

Dal nonno materno invece è arrivata l’empatia verso il prossimo e la capacità di capire le altre persone.

“Mio nonno fu anche l’unico a supportarmi quando decisi di prendere la strada per il poker. Mi disse che sapeva che se mi avesse detto di non farlo, quello sarebbe stato il momento buono in cui avrei deciso di farlo. Quindi preferì sostenermi e supportarmi”

 

4) Poker face e trash talk

La chiacchierata vira poi sull’atteggiamento di Ivey al tavolo e sulla sua proverbiale poker face:

“Sei davvero un tipo divertente nella vita di tutti i giorni, ma al tavolo questo tuo aspetto non emerge mai – dice Greenstein – alla fine i tuoi amici sono gli unici che conoscono questo tuo lato”

“Sì, è così. Ma tanti non realizzano che il mio atteggiamento al tavolo è stato una parte della mia strategia. Quando sei guardingo al tavolo e non parli tanto metti gli altri in una situazione scomoda, e se li metti in una situazione scomoda giocheranno peggio”. 

Ivey spiega anche gli unici casi in cui può allargare le maglie e diventare loquace al tavolo:

“Parlo tanto o se una persona mi piace tante, o se non mi piace per niente”

 

5) Mai più sollievo per le vittorie

Alla fine della chiacchierata con Greenstein, Ivey spiega che fino agli ultimi tempi non si è mai goduto veramente le vittorie al tavolo verde:

“Non mi godevo la gioia della vittoria, più che altro provavo sollievo. Ma le cose non sono più come prima. Di recente ho vinto un torneo di short deck e ho deciso di godermi la vittoria insieme alla mia ragazza. E’ una decisione cosciente, questa: voglio godermi le vittorie, non voglio tornare a quello che succedeva quando giocavo 16 ore al giorno e non riuscivo a gioire perchè le aspettative di vincite erano così alte che quando vincevo era solo un sollievo”

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